AFRICA: PIL E CONSUMI IN CRESCITA
Quello che era il terzo mondo sarà il continente del futuro (e le imprese italiane che esportano dovranno esserci)
Soltanto dieci anni fa, per l’Economist, l’Africa era il continente senza speranza. Oggi, invece, è quello del futuro. Lo testimoniano i molti report che organizzazioni internazionali e think tank navigati dedicano alle opportunità del continente e lo dimostrano i numeri. Uno su tutti: tra i dieci Paesi che nel 2013 sono cresciuti di più, dice il Fondo monetario, sette sono africani: Etiopia, Mozambico, Tanzania, Congo, Ghana, Zambia e Nigeria.
Quest’anno il Pil africano è cresciuto in media del 4,8%, ma nel 2014 dovrebbe accelerare ulteriormente al 5,4 per cento. In dieci anni gli investimenti esteri sono passati da 18 a 56,6 miliardi di dollari (fonte: African development bank) e molti di questi provengono dai Paesi emergenti. Come il Kuwait, che a novembre ha organizzato il terzo summit arabo-africano e con l’occasione ha stanziato due miliardi di dollari fra investimenti e prestiti a basso tasso d’interesse.
La metà degli abitanti delle grandi città africane ha accesso al web, ricorda McKinsey, tanto che già oggi internet contribuisce al Pil di alcuni Paesi (Senegal, Kenya, Marocco) ai livelli della Germania e decisamente più che in Italia. Se la crescita continuerà a questo ritmo, nel 2025 l’e-commerce rappresenterà il 10% di tutti gli acquisti fatti nel continente e varrà qualcosa come 75 miliardi di dollari.
Se c’è dunque un posto dove le imprese italiane dovranno esserci, nell’anno che sta per cominciare, questo è l’Africa. Soprattutto perché – dicono gli esperti di Euromonitor – la classe media africana sta crescendo rapidamente e i suoi acquisti già oggi valgono il 60% del Pil del continente.
Si tratta dei classici colletti bianchi, giovani che vivono in città e lavorano nelle tlc, nelle banche o nei servizi. E che hanno reso il retail uno dei settori più vivaci dell’Africa, più ancora di quello tradizionale delle materie prime. Centinaia di centri commerciali hanno aperto nel continente – spesso in palese contrasto con la povertà delle aree che li circondano – e hanno attratto l’interesse dei grandi gruppi internazionali: Carrefour e Zara sono tra gli ultimi ad aver annunciato i propri piani di espansione in Nigeria, Kenya, Costa d’Avorio e Ghana.
Anche il capitolo food è tra i più interessanti per un’azienda italiana che voglia esportare in Africa. A oggi la bilancia commerciale alimentare dei Paesi sub-sahariani è in passivo per 40 miliardi di dollari all’anno di cibo importato. Al continente le risorse non mancano, ma le infrastrutture per trasformarle sì, tanto che produrre qui alimenti confezionati è un’operazione rischiosa.
Venderli, invece, lo è sempre meno: i supermercati aumentano, tanto che in alcuni Paesi (come il Kenya, la Tunisia e il Sudafrica) arrivano a rappresentare il 40% di tutto il sistema distributivo. E si stanno organizzando: molti di questi store si occupano direttamente del trasporto dei prodotti alimentari dal produttore allo scaffale.
Ciò che conta, ricordano gli esperti di Euromonitor a chi vuole esportare beni di consumo in questi Paesi, è adottare alcuni, semplici, accorgimenti. Molti africani, per esempio, sono analfabeti e riconoscono un brand non in base al nome, ma al colore della confezione: rinnovare spesso il packaging finisce con il far perdere clienti. È importante anche puntare su alimenti che possono resistere a lungo fuori dal frigorifero, che non richiedano energia elettrica per la conservazione e che non abbiano bisogno di troppa acqua per essere cucinati.
Micaela Cappellini per ‘Il Sole 24 Ore’